Atelier dei Libri: Recensione, Il trono delle Ombre di Giovanni Pagogna

mercoledì 23 maggio 2012

Recensione, Il trono delle Ombre di Giovanni Pagogna

Letto quasi d'un fiato, Il trono delle Ombre di Giovanni Pagogna è il primo romanzo di una serie fantasy tutta Italiana, che saprà appassionare gli amanti del genere.

Il trono delle ombreSerie: Le cronache della Corona Nera
Data pubblicazione: 8 Febbraio 2012  
Titolo: Il Trono delle Ombre
Autore: Giovanni Pagogna
Numero pagine: 360 circa.
Editore: Rizzoli
Il mio voto:


La guerra che infuria tra il popolo Eidr e l’Impero di Colvian, uno scontro di civiltà alimentato da uomini che l’odio ha reso belve assetate di sangue, sembra non avere fine. In un conflitto che non conosce regole né pietà, il legionario Yanvas conquista con coraggio e con la forza delle armi il rispetto e la gloria. Dopo vent’anni sui campi di battaglia, solo un’ultima missione lo separa dalla sua nuova vita, signore di una fortezza al fianco della splendida Sylia. Ma per chi trama all’ombra della Corona Nera, Yanvas, seppur valoroso, è una pedina sacrificabile. Ben presto vedrà il mondo come lo conosceva sgretolarsi sotto il peso di macchinazioni e tradimenti, terribili segreti e cupe verità che sembrano non risparmiare nessuno, nemmeno le persone a lui più care. E mentre il caos dilaga e l’Impero stesso minaccia di crollare, Yanvas dovrà decidere quale prezzo è disposto a pagare per salvare l’unica donna che abbia mai amato e ottenere vendetta. Rituali necromantici, spietati complotti, battaglie violente e sanguinarie, nel primo avvincente episodio di una nuova saga fantasy.


La mia recensione 



Fin dal concitato prologo, Il Trono delle Ombre mostra senza indugi la sua vera essenza al lettore, mettendo subito in chiaro che quella che sta per raccontarci è una storia a tinte forti, che non concede spazio ad abbellimenti, né censure. Dove non esistono eroi, ma solo uomini che uccidono altri uomini in nome di ciò in cui credono, sia esso un ideale di libertà, di patriottismo o di semplice vendetta. In breve, Il Trono delle Ombre è una storia di guerra. 
Il conflitto tra l'Impero di Colvian e il popolo degli Eidr si protrae sanguinoso da molto tempo, e proprio tra le fila delle legioni Colviane troviamo il protagonista del racconto, Yanvas. 
Yanvas è un legionario come molti, ma che grazie alla sua disciplina, la sua abilità di guerriero e le sue naturali doti tattiche, spicca tra gli altri commilitoni come un leader naturale. Le capacità di Yanvas si dimostrano preziose in un conflitto divenuto ormai una guerra di logoramento combattuta a suon di colpi bassi e il suo ingegno viene messo alla prova dal Guercio, un guerriero Eidr che più degli altri si dimostra  infido e astuto, ma il cui piano viene sventato proprio da Yanvas, che salva da una disonorevole morte centinaia di soldati ed evita un durissimo colpo all'Impero. 

Proprio questa prova di coraggio porta l'eroismo e il senso del dovere del legionario ad essere finalmente notati, cambiando la sua vita per sempre. L'imperatore in persona gli conferisce la più alta onorificenza militare durante una sontuosa cerimonia,  permettendogli di scalare i vertici del comando e della società
Con la gloria, l'orgoglio di suo padre e l'amore, incontrato nello sguardo della giovane e nobile figlia del maresciallo di Colvian, Sylia, tutto sembra perfetto. 
Ma Yanvas è ancora un soldato, la guerra non è finita e sulle sue spalle gravano il peso del comando e della notorietà, così come lo sguardo di nuovi e potenti nemici. 
Nulla può il suo coraggio contro l'oscuro complotto orchestrato ai suoi danni e, così come erano arrivati, la fama, l'onore e l'amore gli vengono strappati via. 
Svuotato di tutti i suoi ideali, il cuore del legionario trabocca solo di un divorante desiderio di vendetta, che Yanvas persegue fino alle estreme conseguenze mettendo a rischio persino la sua anima, nel disperato tentativo di riavere quello che gli è stato tolto e punire chi lo ha tradito. 


Il Trono delle Ombre è un racconto decisamente ben costruito. La dovizia di dettagli, non dissimile da quella di un romanzo storico, permette di calarsi nel verosimile contesto socio-politico dell'ambientazione, dando al lettore la possibilità di afferrare i meccanismi che regolano il mondo creato da Pagogna e a capire le motivazioni che spingono i personaggi nelle loro imprese. Gli elementi fantasy sono per lo più racchiusi nella seconda parte del libro, nella quale fanno il loro ingresso uomini-bestia, giganti e oscuri negromanti. Figure rinomate nel genere, ma che lo scrittore riesce comunque a rendere interessanti, arricchendole di particolari originali o, come nel caso degli uomini-bestia, descrivendoli nell'ambito di avvenimenti di forte impatto scenico, tale da permettergli di lasciare il segno. 


Per essere il capitolo introduttivo di una saga fantasy tutta nuova, con le sue trecentosessanta pagine,  Il Trono delle Ombre ha il pregio di avere dimensioni contenute, evitando l'effetto enciclopedia che a volte scoraggia i potenziali lettori. Purtroppo, c'è un risvolto della medaglia, e a fare le spese della narrazione asciutta è la costruzione interiore dei personaggi, che viene messa in secondo piano rispetto alle  appassionate descrizioni degli scontri e delle battaglie. 
Il protagonista Yanvas è un vero militare, freddo e rigoroso nella sua disciplina al punto da rendere difficile la creazione di un legame empatico con il lettore. Le disgrazie che lo affliggono nella seconda parte del libro sembrerebbero umanizzarlo quanto basta, ma la risposta emotiva del legionario, per quanto plausibile, lo porterà in tutt'altra direzione. 
I personaggi secondari sono la chiave che permette al romanzo di avere lo spessore emotivo necessario, ma il ciclo narrativo che li coinvolge si estingue rapidamente e, nel finale del libro, Yanvas e il lettore sono si trovano soli, come due estranei all'inizio di una grande avventura. Nonostante questo, Il Trono delle Ombre è un libro da consigliare a tutti gli amanti del fantasy che non si lasciano impressionare da un po' di spargimento di sangue. La curiosità di vedere come va a finire e le aspettative alimentate dal talento di Pagogna sono tutto ciò che serve per affezionarsi a questa saga.

Verdetto: un ottimo inizio per una serie sanguinaria e oscura

20 commenti:

  1. Mi ispira tantissimo questo libro, mi piacerebbe scoprire in che cosa si accosta e in che cosa si discosta dal classico high fantasy :) In più, un po' di sane battaglie ci vogliono, ogni tanto!

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    1. Ciao Camilla,
      perdona il ritardo nel risponderti :)
      È difficile fornire una risposta breve al tuo quesito, perché esistono così tante incarnazioni differenti dell’high fantasy da rendere arduo stilarne una definizione univoca. Cercherò di esaminare i punti salienti del genere e indicare come sono gestiti nel Trono senza spoilerare troppo.
      Il primo tratto tipicamente high fantasy è l’ambientazione, visto che si tratta di un mondo di mia invenzione, nonostante rievochi elementi di culture e periodi storici del nostro passato. In particolare sono evidenti i riferimenti al tardo impero romano e all’alto medioevo, ma ci sono anche contaminazioni rinascimentali e della Cina del periodo degli Stati Combattenti. L’ambientazione è un elemento che ho curato tantissimo ed è molto più ampia di quanto emerge nel romanzo. Gli eventi di questo libro coprono pochi mesi, mentre la mia timeline si estende per quasi mille anni. Allo stesso modo, ci sono quasi altri trenta tra stati e grandi zone geografiche che non appaiono, ognuno con le proprie caratteristiche e tutti collegati tra loro da rapporti politici, militari e commerciali che definiscono il quadro strategico d’insieme.
      La magia è presente, ma non è diffusa o pervasiva come in altre saghe, per esempio in quelle legate ai Forgotten Realms o a Dragonlance, anzi si tratta di conoscenze gelosamente custodite, di cui pochissimi sono a conoscenza.
      Esistono creature fantastiche e anche altre razze senzienti oltre a quella umana, ma non quelle canoniche come elfi, orchi o nani.
      La differenza principale, comunque, ritengo risieda nel taglio etico dell’opera: la lotta tra il bene e il male è l’asse portante di numerose opere high fantasy, mentre da questo punto di vista io mi sono avvicinato più all’interpretazione di George Martin, concentrandomi sulle trame e gli interessi politico-militari e dando vita a personaggi cinici e spietati, non corrispondenti agli archetipi del buono e del cattivo della tradizione. Tra le pagine del romanzo si trovano personaggi inquadrabili in un senso o nell’altro, ma il più delle volte si tratta di letture di parte: il giudizio si basa sui criteri di chi lo esprime, non sul valore assoluto delle azioni, esattamente come accade nella realtà con i vincitori che scrivono la Storia oppure con la tendenza a giustificare le azioni che condividiamo, soppesandole secondo il metro dei nostri interessi. A scanso di equivoci, comunque, la narrazione è molto diversa da quella delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, dato che il punto di vista principale è quello del protagonista e gli altri sono ancillari (per un nuovo autore è impensabile poter progettare da subito un’opera vasta come le Cronache, richiede un investimento troppo ingente da parte dei potenziali editori). Inoltre ho voluto sposare il concetto germanico di predestinazione, che trovo affascinante, per cui ho dato più spazio agli eventi e alle loro influenze sui personaggi, piuttosto che ai travagli interiori dei personaggi stessi, come invece accade in altri fantasy. Ma su questo non mi soffermo perché ha già spiegato tutto benissimo Glinda.
      Spero di essere stato esauriente e aver soddisfatto la tua curiosità. In caso contrario non esitare a chiedere e farò il possibile per chiarire i tuoi dubbi :)

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    2. Ciao, non hai di che scusarti, anzi, ti ringrazio infinitamente per aver trovato il tempo di rispondermi! In modo molto dettagliato, tra l'altro :) Ammetto di essere ancora più curiosa di leggere il tuo libro, ora. Mi affascina il miscuglio di culture che hai usato come "base storica" (soprattutto perché, personalmente, non ho letto molti fantasy che si rifanno a quel periodo critico che è l'inizio del Medioevo) e il riferimento alla predestinazione (il concetto di Genio della Storia di Hegel mi "perseguita" da quando l'ho studiato al liceo).
      Grazie ancora per la disponibilità, è sempre un piacere poter dialogare direttamente con gli autori!

      P.S. spero non ti dispiaccia se ti do del "tu" :)

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    3. Grazie Camilla, certo che puoi darmi del tu, ci mancherebbe altro! Avere modo di parlare delle idee e la filosofia alle spalle del romanzo è un piacere per me: in Italia il fantasy è un genere ghettizzato e malvisto da molti, per cui colgo volentieri le occasioni per cercare di dimostrare che si può lavorare con cura a prescindere da cosa si scriva :)
      Per quanto riguarda il periodo di transizione tra Età Classica e Medioevo, uno degli elementi più evidenti è costituito dalla situazione politica dell’Impero Colviano, che si trova a fronteggiare alcuni dei problemi sociali e politici che hanno contribuito al crollo dell’Impero Romano d’Occidente, cui la corona colviana ha tentato di rispondere introducendo un abbozzo di feudalesimo, pur conservando allo stesso tempo parte della struttura amministrativa precedente (l’ibrido è rilevabile soprattutto in relazione al governo delle province). Le fonti d’ispirazione comunque non sono puramente europee, in quanto per certi versi mi sono rifatto alla successiva tradizione turco-ottomana (per esempio per la conferma dei privilegi e il rapporto diretto dell’imperatore con tutti i vassalli e non solo su quelli da lui personalmente investiti) e anche a quella zulu, che prevedeva che i guerrieri dovessero servire per un certo numero di anni e avere il permesso del re prima di potersi sposare. La cultura militare colviana invece è ancorata al precedente periodo repubblicano, perché volevo differenziarla da quella dei vicini per renderla più caratteristica. Yanvas per esempio applica alcuni degli accorgimenti tattici sviluppati da Scipione l’Africano tra le battaglie di Canne e Zama.
      Tornando all’alto Medioevo, troverai una fortissima influenza scandinava sugli Eidr, che ne hanno mutuato lingua, religione e buona parte dei costumi. Mi sono rifatto in particolare all’apogeo vichingo, con la relativa espansione avvenuta tra la fine dell’ottavo secolo d.C. e la massiccia cristianizzazione dell’XI-XII secolo. Una licenza che mi sono preso è stata l’attribuzione degli archi lunghi (storicamente gallesi/inglesi) per livellare un po’ il campo di battaglia rispetto alla disciplina delle legioni.
      Adoro la civiltà vichinga e la sua mitologia, per cui anch’io sono sempre stato affascinato dal concetto di fato, ancora di più dopo averlo riscontrato nell’opera di Tolkien. Nella nostra cultura e letteratura è poco presente, anche perché è antitetico rispetto al libero arbitrio e quindi è stato contrastato dalla Chiesa, soprattutto dopo la Contro Riforma perché in parte mutuato dai protestanti. Trovo che il fato sia potentissimo e affascinante nella narrativa, grazie alla sua drammaticità e al peso che carica sulle spalle di chi viene investito di una sorte determinante per la storia. Tra l’altro nel Nord Europa la fortuna, intesa come un destino favorevole, era vista come un tratto donato dagli dei e che si poteva trasmettere alla propria stirpe, così, soprattutto tra i germani, poteva accadere che si scegliesse un capo non per la sua età, ma per la maggiore o più antica fortuna della sua stirpe. Questo è un dettaglio prezioso per un romanzo, dato che favorisce l’introduzione in ruoli chiave di personaggi più carismatici che esperti o politicamente accorti.

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    4. Che dire... wow :) E' davvero bello vedere tutta questa passione e voglia di creare qualcosa di concreto e ben studiato. Complimenti!

      Il concetto di fato è sicuramente affascinante (molti dei miei eroi letterari preferiti sono schiacciati dal suo peso, ora che ci penso) - ma, lo ammetto, alla fin fine trovo sia ancora più interessante la possibilità della ribellione al destino. Non sapevo di queste usanze germaniche, grazie per l'informazione! :)

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    5. Grazie per i complimenti :)
      La possibilità di ribellarsi esiste (e qui sta il bello!), è l'esito finale a essere predeterminato perché parte di un disegno cosmico superiore. Nel mondo nordico si credeva in una sorta di equilibrio tra il bene e il male e quindi nella necessità dell'esistenza del secondo, proprio perché entrambi ricoprivano un ruolo ben preciso nell'ordine cosmico. La fine del mondo, il Ragnarok, era scritta così come la battaglia finale tra eroi, divinità e demoni, affinché ognuno di essi potesse affrontare la propria nemesi in un'annichilazione reciproca: solo attraverso la fine di tutto sarebbe potuto cominciare un nuovo ciclo dell'esistenza.
      Ti riporto un meraviglioso passo di Tolkien in cui Iluvatar, la divinità suprema, spiega questo concetto, paragonando lo svolgersi degli eventi all'esecuzione di un brano musicale:
      "E tu, Melkor, ti avvederai che nessun tema può essere eseguito, che non abbia la sua più remota fonte in me, e che nessuno può alterare la musica a mio dispetto, perché colui che vi si provi non farà che comprovare di essere un mio strumento."

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    6. Ah, "Il Silmarillion"... lettura tosta ma meravigliosa, ricordo bene quella scena :) Un esempio calzante!

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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    1. Ho spostato il commento nella risposta a Camilla P.

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  3. A me lascia solo un po' perplesso il fatto che "cinico e spietato" doveva essere la rivoluzione del fantasy tradizionale e invece si è ormai imposto come il nuovo mainstream del genere.
    Francamente, lo dico per primo a me stesso quando scrivo, che senso ha seguire Martin se non si può arrivare al suo livello? Meglio accettare altre sfide, credo, trarre ispirazione da altri generi e contaminare il fantasy con qualcosa di davvero diverso. Per esempio la psicologia dei personaggi: tutti la citano, nessuno lo fa (al livello che servirebbe).

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    1. Ops! Ho sbagliato e ho pubblicato il commento in calce, anziché rispondere al tuo. Spero vada bene comunque :)

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  4. Ciao Alessandro, capisco il tuo punto di vista, ma non lo condivido: mi sembra trascuri il peso delle inclinazioni dell’autore. A mio modesto avviso, la ricerca dell’originalità a tutti i costi non può essere il criterio principe nella stesura di un’opera. Per infondere passione nelle pagine, ho bisogno di sentire e di vivere dentro di me ciò che scrivo, quindi non potrei mai orientarmi verso un lavoro “alieno” solo per solcare acque inesplorate, ammesso che ne siano rimaste poi molte. Spero comunque che la cura del background conferisca al Trono un tratto distintivo rispetto ad altri romanzi imperniati su caratteristiche diverse. Probabilmente è un mio limite, ma preferisco infondere un po’ della mia anima nell’opera, piuttosto che produrmi in un esercizio di stile che non sentirei mio. Ho scelto un taglio “cinico e spietato” perché riflette la negatività della mia visione di certi meccanismi politici e sociali, non a partire da interessi di marketing. In tal caso probabilmente mi sarei votato ad altri sottogeneri di grido.
    In parte questo discorso vale anche per il riferimento a Martin: se avessi voluto scimmiottare le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, avrei strutturato la narrazione in modo pressoché opposto, con innumerevoli punti di vista paritari e con archi narrativi dagli orizzonti indefiniti, non con un PoV principale per il protagonista e con gli altri a esso subordinati e funzionali alla sua resa. Non ho nemmeno tentato di farlo. Credo invece che sia utile, e forse persino inevitabile, evocare la sua saga per dare subito l’idea del tipo di atmosfere e del livello di brutalità. È un po’ come citare Chandler per un hardboiled o Bukowski per un testo minimalista e pieno d’eccessi. Sono riferimenti immediati e universali :)

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  5. Non ho letto né questo libro, né questo autore. Insomma, vado alla cieca. In quanto al fantasy, poi, sono ancora un po' scettico. Però la recensione promette bene, e ci sono caratteristiche tipiche dei romanzi che mi piacciono, quindi è sicuramente una lettura da mettere in programma :)

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  6. Questo libro mi ha rapita. La cover, la trama e anche la recensione di Glinda. E' davvero bello che molti scrittori italiani si avvicinano al fantasy. Complimenti all'autore di questo libro e a Glinda che, come sempre, ci ha fatto assaporare la storia e ci ha fatti rimanere con l'acquolina in bocca :)

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  7. Mi sembra un libro davvero intrigante!!!!non ho mai letto nulla di questo autore, quindi mi piacerebbe molto conoscere il suo stile di scrittura!!!poi è italiano e la cosa mi incuriosisce ancora di più!!poi amo il genere fantasy!
    Non sono facilmente impressionabile per qualche spargimento di sangue!!!credo che è un libro fatto apposta per me!!!
    Non vedo l'ora di leggerlo!!!
    Complimenti Glinda, per la tua recensione!

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  8. Spettacolare saga da iniziare! Non vedo l'ora di avere il primo tra le mani, per ssentirmi soddisfatta del Fantasy Italiano!

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  9. Ovviamente la prima cosa che noto in un libro è la copertina e questa mi ha subito colpita. Leggo con piacere il genere fantasy e misteri ed intrighi mi attraggono sempre.
    Da quel che ho letto forse il libro avrebbe guadagnato punti se i personaggi fossero stati maggiormente approfonditi scrivendo un numero maggiore di pagine.
    A me lo spessore del libro attrae anzichè scoraggiarmi!
    In ogni caso essendo una saga c'è tempo e modo per approfondire il rapporto fra lettore e personaggi.
    Complimenti per la recensione.

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  10. Questa recensione mi ha convinta a leggerlo! E' un fantasy diverso dagli altri ed il protagonista è un combattente impavido che non si arrende di fronte a nulla. Sono davvero curiosa di leggerlo!

    La copertina è fantastica!

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  11. una bella recensione e un buon voto!!!!

    ^________^

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